Monte Redentore e il Pizzo del Diavolo

Due vette bellissime a cavallo tra il confine di Marche e Umbria
Salire al Redentore da Casteluccio per Forca Viola è come immergersi nei quadri degli impressionisti del secolo scorso; mutevolezza di paesaggi e di colori, una prateria con le caratteristiche geometrie, una lunga dorsale che gioca a contenere le nuvole, e due vette vere, linee sottili di cresta, roccia e profondi ghiaioni che scivolano via intorno.


Al Redentore partendo da Castelluccio non ci ero mai salito, ho toccato Forca Viola per raggiungere il lago di Pilato ma il lungo diagonale fino alla vetta l’ho conosciuto solo in discesa, anzi nemmeno da momento che scesi interamente in cresta, non poteva esistere una cosa del genere e oggi finalmente è stato così. Per vie diverse si sono aggregati un manipolo di amici che a dire il vero hanno pensato bene, visto il numero di auto a disposizione, di compiere la traversata della dorsale scendendo a Forca di Presta; non finirà proprio così ma questo è un dettaglio. La piana di Castelluccio come sempre è avvolta dalla nebbia, non sono ancora le coperte autunnali ma tanto basta per voltare pagina e dimenticare le secche giornate estive; parcheggiamo senza entrare nella sterrata sul ciglio della strada e all’inizio della salita per il paese. Al primo incrocio della sterrata si prende a sinistra, via quasi obbligata in direzione forca Viola, prima che si riduca a sentiero la strada inizia a salire e a popolarsi di profondi solchi di scolo, poi prima di terminare in una piana ad uso di un pastore ed il suo gregge sulla destra si stacca una traccia evidente che va presa e seguita integralmente; gira sinuosa tra le rotondità erbose fino a raggiungere Capanna Ghezzi (55 min.), un bel rifugio ancora chiuso a causa dei danni del terremoto. Ci facciamo strada tra un gregge, i cani non ci degnano di uno sguardo e dopo aver salito un prato dietro il rifugio imbocchiamo la traccia, ora meno chiara ma ben evidenziata da paletti segnavia; vira con ampio raggio sulla destra e prende a salire un traverso lungo e marcato fino ad una radura pianeggiante a cui ovviamente è stato dato il toponimo di Pianacce. Si aprono gli orizzonti sulla piana che nel frattempo lentamente si sta liberando dalla nebbia, si aprono sulle montagne che si sono avvicinate notevolmente e sul sentiero che fila a sinistra fino a raggiungere Colle Albieri, che raggiungiamo agevolmente e in costante leggera salita. Una palina con diversi cartelli indica in maniera marcata la biforcazione dei sentieri, davanti per il Sasso Borghese mentre a destra con una curva secca si continua per Forca Viola, più di un chilometro di traverso in continua leggera salita e quindi comodo, con un affaccio costante sulla piana di Castelluccio, ci ha permesso di assistere istante per istante al dissolvimento delle nebbie, davanti l’imponente paginone solcato dai tanti fossi della dorsale che sale al Redentore. Nel frattempo il passo lesto dei nostri amici ha creato selezione, siamo rimasti un po' indietro ma li abbiamo ritrovati a attenderci a Forca Viola (+1 ora), un’ampia sella che apre gli orizzonti sul piano della Gardosa, sul Banditello, sulla Sibilla e sulle colline fino al mare nel punto in cui le montagne si abbassano per lasciar scorrere il neonato fiume Aso. Si riparte, noi arrivati dopo allunghiamo la sosta, il sentiero si stacca sulla destra, una bella traccia inizia a salire con frequenti tornanti fino a prendere quota ed allungarsi in costante ascesa su un traverso di più di due chilometri, la piana di Castelluccio sempre alla nostra destra è ormai spoglia dalle nebbie, salendo gli orizzonti si allungano fino al Terminillo. La traccia “atterra” in cresta nei pressi degli scavi di quello che doveva essere un osservatorio astronomico; era il 1887 quando sotto la direzione dal prof. Giuseppe Bellucci, direttore dell’Osservatorio di Perugia e presidente della locale Sezione CAI iniziarono i lavori. La struttura doveva essere dotata di un rifugio per gli alpinisti e doveva anche avere un collegamento ad una torretta sulla cresta che doveva contenere tutte le apparecchiature di misurazione. Siamo ormai a quota 2000, poco sotto la cima che da questo ha preso il toponimo, Cima dell’Osservatorio e che rimane quindi unica testimonianza di quello scavo un po’ insolito per queste altezze. L’osservatorio sarebbe stato il terzo sugli Appennini dopo quelli sul Monte Cimone in Emilia e sul Monte Tiriolo in Calabria e non si conoscono i motivi per cui i lavori non furono mai portati a termine. L’arrivo in cesta è spettacolare, dalla valle del lago risalgono nuvolaglie che non riescono ad oltrepassare il limite della dorsale, la linea di salita appare e sparisce soprattutto in alto dove si appiatta ormai nei pressi della cima del Redentore, ad Ovest della cresta gli orizzonti si mantengono vasti e luminosi. Ultimo breve strappo in salita e arriviamo al Redentore (+1.25 ore), non c’è traccia dei nostri amici, giustamente avranno proseguito vista la nostra lentezza; sempre bella questa vetta, per come si domina Castelluccio e la sua piana e per l’asprezza della vista che da sull’imbuto che scende al lago e sulla cresta sottile che gli gira sopra. Oggi le nuvole che salivano dal basso rendevano tutto ancora più intenso, più forte; momenti di nulla assoluto si alternavano a squarci di profondità e luce ed era una favola rimanere ad osservare questi mutamenti. Volevo tornare sul Pizzo del Diavolo, anche se immerso come era nella nebbia non poteva offrire i suoi consueti scorci. Mentre siamo indecisi se ripartire o meno compaiono i nostri amici proprio dalla cresta del Pizzo del Diavolo, compaiono come fantasmi e quasi ci prendono di sorpresa, facciamo in tempo a farci una foto tutti insieme in vetta al Redentore e a cambiare programma, ci invitano a seguirli ma il Pizzo ora toccava a noi, ci invitano a raggiungerli successivamente ma non volevamo che il nostro rientro diventasse un inseguimento, una corsa contro il tempo; è stata dura convincerli ma saremmo rientrati per la stessa via, prendendoci tutti i nostri tempi. Dopo i saluti prendiamo per il Pizzo, le nuvole a tratti nascondono le verticalità e quando nel giro continuo della mutevolezza si spalancano ci sembrano ancora più ardite, la crestina è a tratti quella che conosciamo, sottile ed esposta, mai difficile se non ci si lascia spaventare dai versanti che fuggono via ai lati, raggiungiamo la vetta (+40 min compresa la sosta) nella nebbia più totale ma è bello lo stesso, ci sono altri due ragazzi di Camerino davvero cordiali e simpatici, dall’esuberanza contagiosa e pulita che vagano per la stretta vetta alla ricerca di una apparizione fuggevole di una coppia di camosci che avevano intravisto nelle rupi sottostanti. I fazzoletti di nubi si allargano e per alcuni momenti intuiamo qualcosa di quanto c’era intorno, quel vedo e non vedo che ha un fascino enorme e che ti spinge a ricordare i dettagli che tante volte abbiamo visto. Siamo rimasti molto in vetta e anche se i programmi sono mutati e nessuno ci aspetta l’ora di rientrare scocca, un saluto caloroso ai ragazzotti in cerca dei camosci, che indico lontani giù nei ghiaioni in uno dei pochi momenti di profondità e siamo sulla via del rientro; il vento è più teso fa quasi freddo, siamo veloci per cercare di tornare sotto vento, raggiungiamo il Redentore, lo superiamo dopo una brevissima ulteriore sosta e come ci abbassiamo le condizioni migliorano tanto che decidiamo di percorrere integralmente la cresta, almeno fin tanto questa non si discosta troppo dal sentiero di discesa. Da Cima dell’Osservatorio gli scavi sottostanti erano l’immagine che ricordavo di tanti anni prima, la memoria vola ai tempi del Club2000, è stata una bella sensazione. Sempre per cresta raggiungiamo la cima di Quarto San Lorenzo, e poi ci stacchiamo dalla cresta buttandoci in discesa per cercare di intercettare il sentiero che ci riporterà a Forca Viola. Il resto del rientro è solo camminare, la pendenza diminuisce e si fa graduale e camminare è bello; in zona Pianacce usciamo dalla traccia per tagliare la lunga deviazione verso Capanna Ghezzi, e ci raccordiamo con la brecciata che viene dalla capanna, solo l’ultimo tratto un po' più ripido ci fa penare per cinque minuti. Facilmente ritorniamo al parcheggio sotto Castelluccio (+3,50 ore), bello l’ultimo tratto in cui abbiamo fiancheggiato la piana e i campi di frumento arsi, mietuti da poco e costellati da numerosi covoni che risaltavano illuminati dalla luce calda del pomeriggio inoltrato. La piana di Castelluccio offre sempre spunti diversi per farsi amare. Si era fatto pomeriggio inoltrato, rimaneva solo da trovare un posto dove mangiare qualcosa e siccome da tempo avevamo puntato il baracchino in zona fornace di Pretare sul quale avevamo avuto recensioni buonissime, non avevamo dubbi su dove dirigerci; due bruschettine e un po’ di salumi e formaggio, una gricia da tante stelle che non ne trovo da aggiungere, una birra e un bicchiere di vino e la piramide del Vettore che scura e austera ci sovrasta. Dopo una bella escursione, io e Marina, sono momenti di calore semplice da vivere.